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Sulla programmazione del personale docente e ricercatore: proposte di crescita sostenibile

di Francesco Laviano (Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia).


In un momento storico difficile per il panorama universitario nazionale, mortificato da un sistema economico iper-competitivo e dalle normative farraginose, il Politecnico di Torino si trova davanti ad un bivio importante. Molteplici risultati sono stati conseguiti grazie all’impegno dei suoi dipendenti, sia nella ricerca dove la percentuale di successo nella progettualità nazionale ed europea è ben al di sopra della media, sia nella didattica, attirando un numero sempre crescente di studenti; ma le sfide più ardue sono alle porte perché dobbiamo affrontare il bilancio di un Ateneo in crescita, sia dal punto di vista economico-finanziario sia per la numerosità degli studenti, a fronte di un organico che è rimasto pressoché inalterato nell’ultimo decennio. Quindi le scelte che ci si pongono innanzi sono essenzialmente due: limitare le nostre capacità e le nostre aspirazioni di carriera oppure affrontare una congrua espansione del nostro personale della docenza e della ricerca.

L’analisi dei dati storici ci restituisce immediatamente una misura quantitativa di queste osservazioni e possiamo sintetizzare il confronto tra il panorama nazionale (a sinistra) e la situazione del nostro Politecnico (a destra) nelle seguenti figure.

Notiamo immediatamente alcune caratteristiche comuni ed altre in controtendenza:

  • La numerosità del corpo docente universitario è in buona correlazione con l’andamento delle iscrizioni, a livello nazionale; presso il Politecnico, notiamo un aumento considerevole degli studenti (crescita >48% in dieci anni), mentre il corpo docente ha una numerosità costante entro circa il 10% (considerando che dal 2012 sono sommate anche le posizioni a tempo determinato), e il rapporto studente/docente è passato da 25:1 a oltre 37:1, rispetto al valore medio nazionale di 30:1.
  • Il “piano straordinario associati” (L220/10, Decreto Interministeriale 15/12/2011 e seguenti) ha consentito un vero e proprio travaso di posizioni, da Ricercatore a Tempo Indeterminato (RTI), a Professore Associato (PA), mentre il numero di posizioni da Professore Ordinario (PO) ha registrato una modesta flessione dovuta ai pensionamenti. Questa tendenza è la medesima su entrambe le scale.
  • Il numero dei Ricercatori a Tempo Determinato (RTD), secondo la riforma “Gelmini” (L240/10), è cresciuto modestamente e con un andamento lineare, a livello nazionale; presso il Politecnico, dopo un periodo iniziale di incertezza, sono state bandite posizioni RTD, sia di tipo A sia di tipo B, con numerosità paragonabili alle immissioni in ruolo pre-riforma “Gelmini” (una media di 30 posizioni RTI all’anno nel decennio 2001-2011).

Dando per assodato che la riforma “Gelmini” ha inasprito la precarietà della docenza e della ricerca universitarie, soprattutto eliminando i RTI e introducendo due figure di RTD, assieme alla docenza a contratto, possiamo superare le difficoltà incontrate nel primo periodo di transitorio, attraverso soluzioni responsabili ed al tempo stesso ambiziose. In modo sintetico, propongo le seguenti strategie:

  • Separazione delle risorse per le progressioni di carriera e per il reclutamento. La programmazione dei nuovi ingressi è sicuramente un punto critico, che richiede un cospicuo investimento se vogliamo continuare a crescere sia nella didattica sia nella ricerca. Per questo sarebbe bene evitare la conflittualità intrinseca ad una spartizione comune delle risorse tra la progressione di carriera ed il reclutamento. In particolare, il reclutamento dovrebbe essere costantemente monitorato dagli Organi di Governo, in modo da considerare attentamente sia le necessità di didattica e di ricerca, sia il percorso dei giovani docenti e ricercatori che oggi devono intraprendere un iter che porti alla stabilizzazione oppure vedere velocemente e con chiarezza soluzioni diverse.
  • Acquisizione di maggiori risorse per il reclutamento. La recente politica del Ministero di programmare a livello centrale un numero consistente di posizioni RTD tipo B, come avvenuto recentemente nelle Leggi di Stabilità del 2015 (circa 860 posizioni) e del 2017 (circa 1300 posizioni) è certamente una misura condivisibile e positiva. Puntando a sostenere con determinazione queste iniziative ministeriali, sarebbe parimenti opportuno acquisire dal Territorio una quota parte del finanziamento per la programmazione del personale suddiviso equamente tra nuovi ingressi e progressioni di carriera. In questo modo, potremmo avere un numero stabile di immissioni in ruolo, paragonabile al periodo precedente alla riforma “Gelmini”, e guadagnare un margine ulteriore, rispetto a quello attuale, sulla programmazione ordinaria per le progressioni di carriera, che sono facilmente prevedibili a causa dei vincoli imposti dalla procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale.
  • Incentivo per la mobilità dei nostri ricercatori. Considerando che la normativa vigente impone l’investimento del 20% delle risorse in personale esterno, cioè coloro che non abbiano goduto nei precedenti 3 anni di alcun tipo di contratto con l’Ateneo, e che è molto difficile attirare del personale di nazionalità non italiana, la mobilità dei nostri ricercatori può avere una duplice valenza. Infatti, dopo un periodo di almeno 3 anni, il ricercatore potrebbe tornare presso il nostro Ateneo, avendo sicuramente acquisito maturità e competenze e soprattutto avendo instaurato o rafforzato legami strategici.
  • Riduzione degli incarichi esterni. Purtroppo la docenza a contratto (art.23 L240/10) è una “risorsa boomerang”, perché se da un lato consente di sopperire velocemente alle sofferenze didattiche, dall’altro smorza la necessità di bandire posizioni che prevedano una successiva stabilizzazione, con evidenti ricadute negative anche sull’attività di ricerca del settore disciplinare coinvolto. La diminuzione dei docenti a livello nazionale ha imposto che la sostenibilità didattica possa essere coperta in misura del 30%, massimo, attraverso la docenza a contratto, ma la nostra scelta strategica dovrebbe essere quella di utilizzarla il meno possibile, al limite di evitarla completamente.

Sono convinto che la scelta di investire in modo coraggioso sulla nostra crescita possa portare ovvi benefici alle nostre attività, al nostro Ateneo, al nostro Territorio, e possa anche fungere da ispirazione e da traino per l’intero sistema universitario italiano.