Lettera aperta a chi dà vita al Politecnico
Cari studentesse e studenti, colleghe e colleghi del personale docente, ricercatore, tecnico, amministrativo e bibliotecario, dottorandi, assegnisti e collaboratori,
quando alcuni colleghi mi hanno chiesto di propormi come candidato al ruolo di Rettore del Politecnico di Torino, mi sono immediatamente domandato che cosa avrei potuto fare per rispondere alle attese di chi, con impegno e sacrificio, studia e lavora in questo Ateneo. Per capirlo mi sono confrontato, a partire dallo scorso maggio, con molti di voi discutendo, in varie sedi, una prima bozza di programma. Le idee scaturite da questo ampio dibattito sono confluite in questo sito web, concepito come un “Laboratorio aperto sul futuro del Politecnico” dove chiunque, in modo libero e democratico, può portare il suo contributo. Insomma, il confronto continua!
Il lavoro svolto in questi mesi è stato imponente, e ancora molto resta da fare. Ma a chi mi chiede oggi “perché vuoi fare il Rettore?” posso rispondere in tutta sincerità “perché mi sono convinto che restituire dignità e centralità a una comunità di 40.000 persone è una sfida impegnativa, ma non impossibile”.
Ma per vincerla non basteranno solo il mio impegno, la mia determinazione e la mia esperienza.
Serve anche la passione, la mia e la vostra. Chi mi conosce sa quanto sia profondamente legato a questo Ateneo. Vi ho trascorso buona parte della mia vita, prima come studente, poi come ricercatore e docente. Tra le sue mura ho conosciuto e lavorato con persone eccezionali che mi hanno aiutato a crescere, ancor prima che sul piano professionale, su quello umano. Ormai il Poli è una parte di me, eppure ogni volta che varco il suo cancello d’ingresso provo le stesse emozioni che hanno accompagnato, nel corso di questi lunghi anni, la mia crescita professionale, da quando dopo il dottorato ho dato vita al mio primo gruppo di ricerca a quando sono stato chiamato a sedere nei suoi massimi organi di governo, ad essere due volte direttore di dipartimento, responsabile di sedi decentrate, membro della delegazione di parte pubblica.
Tutto questo mi ha anche consentito di maturare una conoscenza profonda del nostro Ateneo e una esperienza nella gestione di strutture complesse. Tuttavia, negli ultimi tempi spesso mi sono chiesto se tale conoscenza ed esperienza, unite al mio impegno, fortemente sentito, fossero sufficienti per un compito così arduo.
Ho avuto modo di osservare da vicino diversi Rettori. Il compiacimento personale per l’elezione e la fiducia ricevuta svanisce rapidamente, sostituito dalle preoccupazioni legate all’immenso lavoro da fare, per il quale occorre possedere capacità di visione, coraggio, entusiasmo, umiltà, dedizione, attitudine al dialogo e spirito di sacrificio.
Consapevole delle difficoltà che deve affrontare chi guida l’Ateneo, molte delle quali esulano dalle sue funzioni istituzionali, sento il bisogno di chiarire lo spirito con il quale intenderei affrontare questo impegno e i valori che attribuisco al ruolo e ai doveri che potrei essere chiamato ad assumere.
Penso che un’università pubblica e indipendente debba, oggi più che mai, uscire dal suo guscio promuovendo valori universali come la lungimiranza, la tolleranza e la sostenibilità, indispensabili per produrre e diffondere conoscenza, per fare della cultura un motore di sviluppo sociale e civile e per dare vita a una vera e propria officina delle idee in cui sia possibile operare con mente aperta.
L’Ateneo è un crogiolo in cui si amalgamano la competenza, l’impegno e la progettualità delle donne e degli uomini che vi lavorano. Per valorizzare nel migliore dei modi questo patrimonio il Rettore deve essere disponibile a confrontarsi con l’intera comunità universitaria, pronto a stimolarla in modo propositivo e attento ad ascoltarne le mille voci. Inoltre deve assumere di fronte a essa l’impegno solenne a lavorare in modo responsabile per il raggiungimento degli obiettivi contenuti nel proprio programma di governo.
La comunità universitaria avrà modo di valutare se il Rettore, nel corso del suo mandato, stia operando in modo coerente al suo programma. Tuttavia le dinamiche e i fattori che influenzano la vita dell’Ateneo sono tali che spesso una programmazione su lungo periodo può risultare inadeguata di fronte ai cambiamenti che caratterizzano una società in rapido cambiamento. Per questo motivo il programma andrà necessariamente verificato e aggiornato in luoghi pubblici, fisici e virtuali, di dibattito. Grazie alle idee e alle proposte che matureranno sarà possibile infondergli nuova linfa salvaguardando il metodo di lavoro che ho sempre cercato di adottare, quello di “progetto condiviso”, di cui questo “laboratorio aperto” è parte integrante.
A mio parere chi governa l’Ateneo dovrebbe prima di tutto condurre analisi accurate sui processi in atto e sui cambiamenti che essi comportano. La riflessione, la valutazione delle motivazioni, l’individuazione degli obiettivi e delle modalità per raggiungerli sono elementi essenziali per intraprendere un percorso condiviso e sostenibile che possa condurre a risultati che siano affidabili e duraturi. Ma per ottenere questo risultato il Rettore deve muoversi per tempo e promuovere un ampio coinvolgimento di tutte le componenti dell’Ateneo nella partecipazione attiva ai dibattiti pubblici e ai forum di discussione.
Sono assolutamente convinto che per dare risposte convincenti e durature ai problemi che affliggono le nostre università non servano né dirigisti né demagoghi. Non è possibile governare un ente come il Politecnico di Torino circondandosi di pochi ancorché capaci collaboratori e certamente non esistono “cerchi magici” in grado di risolvere i problemi. Solo promuovendo e stimolando un ampio confronto è possibile porre le basi affinché ogni progresso raggiunto possa effettivamente radicarsi.
Gli studenti, i docenti e il personale amministrativo del Poli hanno diritto di esercitare funzioni di indirizzo e controllo in un sistema libero e democratico, l’unico in cui credo. Ma perché ciò avvenga è indispensabile una maggiore chiarezza e trasparenza da parte di chi guida l’Ateneo.
La sfida impegnativa ma non impossibile di cui parlavo all’inizio di questa lettera aperta – restituire dignità e centralità a una comunità di 40.000 persone – può essere vinta solo impegnandosi a prendere decisioni condivise ed efficaci in tempi utili per il bene della collettività, attraverso un ampio e responsabile “lavoro di squadra”.
È un impegno che sento di assumermi, consapevole delle difficoltà e delle responsabilità che esso comporta. La posta in gioco è estremamente alta visto che tutti gli studenti e i lavoratori del Politecnico hanno diritto di essere attori partecipi e consapevoli dei cambiamenti in atto e di quelli che sarà necessario attuare in futuro sulla strada di una crescita serena, sostenibile e duratura, dove ogni nuova regola, nuovo criterio di valutazione, nuova policy dovranno essere concepiti, messi a punto e comunicati in anticipo per permettere un adattamento proattivo delle persone e delle strutture.
Ma per attuare questo progetto sono indispensabili due condizioni: la prima è restituire centralità agli studenti e la seconda mettere i docenti nelle condizioni migliori per trasmettere la conoscenza in piena libertà. Questa libertà è fondamentale perché ogni insegnante, non importa di che ordine e grado, possa trasmettere ai suoi studenti non solo competenze professionali ma anche i valori in cui crede. Solo in questo modo i nostri studenti potranno raggiungere un senso di responsabilità sociale che ne guidi l’opera verso il conseguimento del bene comune, attraverso un costante confronto dialettico e costruttivo con gli altri. Sono loro il nostro futuro.
E parlando di futuro sento l’obbligo di ricordare come il Politecnico di Torino sia motore di innovazione tecnologica e sociale da oltre 150 anni. Forti di questa esperienza maturata sul campo, bisogna essere pronti ad anticipare e stimolare la domanda che viene dall’esterno, collaborando in sinergia con altri istituti di ricerca, industrie, enti e associazioni culturali e territoriali. A questo proposito è necessario lavorare connessi in una rete internazionale, europea e territoriale, senza però rinunciare alla libertà, responsabilità e indipendenza di azione nella formazione, nella ricerca e nel trasferimento della conoscenza. Il nostro lavoro ci obbliga a misurarci con una serie di coinvolgimenti e ricadute che vanno attentamente considerati e compresi per esprimere pienamente le progettualità e per individuare gli interlocutori. Il nostro Ateneo possiede tutte le competenze per svolgere questo ruolo, ma è necessario impiegarle meglio di quanto fatto finora. Ogni progetto dovrà essere misurato in termini di bilancio sociale e ambientale prima ancora che economico.
Per raggiungere questi obiettivi occorre lavorare affinché l’intera comunità del Politecnico sia animata dalla convinzione che professionalità e spirito di collaborazione sono le due facce della stessa medaglia. Solo così sarà possibile recuperare motivazione e senso di appartenenza, messi in crisi dall’attuale oppressione burocratico-legislativa e da un carico di adempimenti formali diventato negli anni davvero eccessivo.
A questo punto non mi resta che ringraziare tutti coloro che nei mesi passati hanno accettato di collaborare a quello che all’inizio non era altro che un progetto di lavoro. Dopo un lungo e animato confronto si è trasformato in questo "Laboratorio aperto sul futuro del Politecnico di Torino”, dove troverete idee e proposte frutto di istanze e interessi collettivi. Nella speranza che diventi un luogo di discussione libera e costruttiva, dove definire un programma di candidatura che farò mio solo al termine di questo ulteriore percorso di confronto, ringrazio anticipatamente quanti vorranno dedicarvi il loro tempo e la loro attenzione.
Cordialmente,
Guido Saracco | Torino, 14 Novembre 2017 |