Il Politecnico, la Società e il Territorio

Tutte le competenze che mette in campo il Politecnico di Torino – nella formazione, nella ricerca, nel trasferimento tecnologico e nella condivisione della conoscenza con la società civile – possono e devono giocare un ruolo chiave per affrontare le sfide del futuro, per portare a quel cambio di paradigma verso la sostenibilità che ci impongono i numerosi problemi che affliggono il mondo contemporaneo.

Da un paio d’anni trovo nella buca delle lettere la pubblicità di apparecchi acustici. È un segno dei tempi. Difficile non ricollegarlo al compimento del mio 50° anno di età e a qualche Grande Fratello che manovra banche dati. Ogni anno generiamo e raccogliamo una massa di dati superiore a quella che è stata prodotta nel corso di tutta la storia dell’umanità, un trend destinato a crescere in futuro. È la rivoluzione digitale con i suoi big data, alimentati dall’internet delle cose, che sfrecceranno in sistemi di comunicazione sempre più veloci, per poi essere interpretati e utilizzati con nuovi algoritmi (data mining). Avremo più informazioni a disposizione per migliorare la qualità della nostra vita, ma è inconfutabile che chi possederà tali informazioni acquisirà un grande “potere”.

Secondo il National Intelligence Council (NIC) nei prossimi 30 anni crescerà la domanda di cibo (35%), acqua (40%) ed energia (50%) a causa sia dell’aumento della popolazione sia dei cambiamenti nella distribuzione dei consumi legati alla crescita della classe media nei paesi emergenti. Tre importanti fattori demografici, l’invecchiamento, le migrazioni e l’urbanizzazione crescente, contribuiranno a modificare le condizioni economiche, i rapporti politici e le relazioni tra le varie nazioni. Per i paesi sviluppati sarà sempre più difficile mantenere gli standard di vita attuali, e diritti e servizi sociali che sono stati basilari finora, come il sistema pensionistico o l’assistenza sanitaria, cambieranno profondamente.

Sempre secondo il NIC 1, nei prossimi 40 anni il volume di costruzioni urbane sarà pari all’intero volume di costruzioni realizzato dall’uomo dalla sua comparsa sulla terra a oggi. Il cambiamento non è solo quantitativo. La progressiva urbanizzazione delle aree rurali, ormai in atto in numerose nazioni, cambia gli assetti sociali, modifica le economie e porta a creare delle megalopoli con peculiarità e problemi che richiedono approcci specifici.

Mentre si modificano gli stili di vita e i delicati equilibri dell’ambiente costruito, delle risorse e dei valori, si generano nuove necessità di mobilità e sicurezza. La velocità di tali processi di modificazione e la loro scala globale rischia di fare tabula rasa di conoscenze locali, tradizioni e valori culturali che hanno giocato un ruolo importante nella coesione sociale e che contribuiscono alla resilienza delle comunità.

Norme e politiche di valorizzazione cercano di preservare un patrimonio culturale, costituito da valori tangibili e intangibili, sempre più difficile da conservare nella sua ricca diversità, messa in discussione dall’invadenza dei fenomeni di globalizzazione. Tuttavia, una maggiore consapevolezza anche da parte di paesi interessati da cambiamenti epocali, frutto di una forte crescita, sta risvegliando l’interesse nei confronti delle diversità storiche e delle pratiche della conservazione e del restauro. Il successo dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO (tra cui il nostro Castello del Valentino) dimostra come sia possibile coniugare con profitto valori di identità e fattori di crescita.

Nel settore industriale, l’automazione e la digitalizzazione di Industria 4.0 avranno l’effetto di modificare la produzione, probabilmente però riducendo ulteriormente l’occupazione. Fra non molto con le stampanti 3D diventeremo addirittura “prosumers” (produttori e consumatori insieme) a casa nostra. Impareremo a produrre in modo distribuito e sostenibile partendo da materie prime ed energie rinnovabili per combattere i cambiamenti climatici.

Grazie alla collaborazione tra ingegneria e medicina sarà possibile far fronte a un progressivo invecchiamento della popolazione e ai relativi costi sociali e familiari. Gli ospedali cambieranno volto entrando nelle nostre case se non nei nostri corpi. Per fare solo due esempi, saranno disponibili farmaci al contempo diagnostici e curativi, e i malati saranno assistiti da robot badanti dotati di intelligenza artificiale.

Tutto questo proprio quando chi sta peggio, spinto da guerre o carestie, bussa alle nostre porte come migrante. Il risultato di un liberismo per certi versi sfrenato è stato che, per citare il compianto Oliviero Beha, “la vera libertà oggi è un lusso di pochi”. Etica, coerenza del sistema profitti-salari per il lavoro, solidarietà, generosità, conservazione del patrimonio del passato sono valori da preservare per non essere travolti da uno sviluppo tecnologico fine a sé stesso o, peggio, dalla mera corsa al profitto.

Nelle nazioni industrializzate cresce l’export verso i paesi in via di sviluppo, ma decresce il benessere interno. La nostra Torino ha oggi un 20% in meno di abitanti rispetto a quando era sede di una delle più dinamiche attività produttive italiane. Se consideriamo le 14 città metropolitane italiane, lo stock delle imprese di Torino ha subito dal 2008 un calo secondo solo a quello di Messina. Il nostro territorio viene abbandonato da ben l’80% dei laureati che formiamo e Torino avrebbe bisogno di una nuova generazione di imprenditori che vogliano mettersi in gioco 2 . Il Politecnico di Torino può formarli con lungimiranza e, facendo la sua parte nelle azioni di ricerca e trasferimento tecnologico, di concerto con altre istituzioni locali, creare le condizioni perché questo possa avvenire.

Le democrazie occidentali in crisi economica si arroccano su tecnologie tradizionali destinate al declino, mentre la Cina è diventata leader delle tecnologie ICT e di quelle per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili. Una certa politica in difficoltà, che dispensa certezze tanto perentorie quanto irrealistiche, se non addirittura pericolose, dovrebbe far proprio il celebre aforisma di George Bernard Shaw “Per ogni problema complesso, c’è sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata”.

Intanto, una parte della politica (e della stampa) ha preso da qualche tempo ad attaccare l’Università, contribuendo a danneggiarne la credibilità, ingabbiandola in una iper-regolamentazione che la soffoca, tagliandole i finanziamenti e andando a incidere profondamente sulla coesione e il senso di appartenenza di chi ci lavora con soluzioni “una tantum” che si fondano sulla retorica dell’eccellenza.

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001, sostiene invece con forza che nel momento di crisi profonda dell’economia e della politica il terziario in generale, e in particolare le organizzazioni senza fini di lucro, come le Università, siano gli unici attori sociali in grado di imprimere una svolta verso nuovi equilibri sostenibili, proprio perché possono svincolarsi dalle logiche perverse che ci hanno condotto dove siamo. Anche per questo è necessario che l’Università rimanga ben distinta dalla politica e dai cosiddetti “poteri forti”.

L’innovazione e la tecnologia non possono più rappresentare l’ancora di salvezza per chi continua a professare ottimismo a piene mani. Non dimentichiamoci, infatti, che se da un lato sono in grado di offrire nuove soluzioni a molti problemi, dall’altro le dinamiche sociali ne possono determinare il successo e l’insuccesso in modo non facilmente prevedibile.
A guardare il futuro con i valori e le certezze che ci hanno sostenuto fino a oggi si rischia di commettere gravi errori. Non abbiamo punti di riferimento certi, o meglio, quelle che oggi sono misure tangibili di uno status, rischiano di diventare a breve del tutto irrilevanti. In un sistema complesso quale quello attuale il singolo individuo deve imparare a interagire con gli altri per perseguire obiettivi in modo collaborativo, inclusivo e collegiale. Nel mondo delle nuove tecnologie le competenze tecniche disciplinari rimarranno importanti, come base su cui fondare gli scambi dialettici con altri saperi, ma a queste occorrerà abbinare capacità inter-relazionali, persuasive, comunicative, etiche, sociologiche, politiche, ecc. Le scienze dell’uomo e della società dovranno avere un ruolo fondamentale per introdurre il fattore umano nei contesti della rivoluzione digitale, nella svolta sostenibile nei sistemi di produzione e costruzione e nella valorizzazione dei patrimoni culturali.

L’imprevedibilità del futuro e i salti di paradigma tecnologico attesi sono tali da richiedere a un’Università come la nostra di dotarsi di una grande lungimiranza, fondata su scienza, cultura, indipendenza e libertà di azione, per giocare il suo ruolo ed essere in grado di imprimere una svolta verso nuovi equilibri sostenibili.

Scienziati, ingegneri e architetti dovranno guadagnare una dimensione etica e sociale per progettare e usare nuove tecnologie sostenibili e abilitanti – giocando un ruolo strategico con committenti pubblici e privati – che ridurranno i divari interni alla società e porteranno al contempo verso uno sviluppo sostenibile. Essenziale sarà la loro capacità di interagire costruttivamente con altri professionisti per realizzare progetti e risolvere problemi, che sono sempre meno circoscrivibili negli stretti ambiti delle singole discipline.

Occorre allora preparare i nostri studenti a uscire dagli schemi strettamente disciplinari per aprirsi proficuamente al sistema complesso in cui viviamo. I giovani devono agire, per citare Donella H. Meadows 3, su “leverage points”, punti di leva inter-disciplinari, in grado di produrre effetti sulla società. Cosa di cui la formazione dovrà tenere conto.

Con questa prospettiva formeremo donne e uomini impegnati, consapevoli e dotati di senso critico, che diventeranno nuovi ingegneri, architetti, designer e pianificatori territoriali.

Allo stesso modo noi docenti e ricercatori, pur continuando a coltivare le nostre solide competenze settoriali, dovremo imparare a cogliere maggiormente le opportunità della ricerca interdisciplinare per dare risposte scientifiche e tecnologiche adeguate, anche attraverso il nuovo strumento dei Centri Interdipartimentali.

Allo stesso modo dovremo realizzare una filiera convincente per il trasferimento tecnologico, perché i prodotti delle nostre ricerche vengano sviluppati fino a livello pre-commerciale così da dare gambe solide alle nuove iniziative imprenditoriali che incuberemo e risultati concreti alle imprese con cui collaboreremo. Dovremo fare la nostra parte nella creazione di una rete di imprese che facciano sistema, portino lavoro al nostro sistema, facciano rimanere sul nostro territorio un numero maggiore di nostri laureati.

Il Politecnico di Torino, operando con capacità di visione in ognuno dei suoi quattro assi fondamentali di azione (formazione, ricerca, trasferimento tecnologico e condivisione della conoscenza), dovrà essere un luogo ispirato e consapevole per la formazione di validi professionisti e della futura classe dirigente, e per la crescita e lo sviluppo del proprio territorio e del Paese in un contesto internazionale.

Proprio mentre si registra una generalizzata difficoltà a individuare linee guida e progetti di grande respiro, il Politecnico di Torino con il suo insostituibile capitale umano e lo spirito di concretezza che ne contraddistingue l’azione nel territorio, con la sua straordinaria capacità di coinvolgere la società, la comunità scientifica e le industrie, crea condizioni nuove e vitali nella città.

Il lascito di chi ha governato il Politecnico di Torino negli ultimi sei anni – consegnandoci un Ateneo in ottima salute finanziaria, arricchito da forti investimenti nelle sue risorse umane, sempre più apprezzato dagli studenti, in grado di offrire loro prospettive occupazionali davvero eccezionali, con ampi margini di manovra per la riprogettazione dell’offerta formativa – è una splendida base su cui costruire un nuovo progetto che guardi al futuro.

Il Politecnico di Torino dovrà divenire un elemento chiave dello sviluppo territoriale svolgendo nei suoi spazi le sue quattro missioni e coniugando la sua vocazione universitaria anche con una spinta urbanistica. Lungo l’asse del Po, come nella Cittadella Politecnica, il Politecnico investirà nel miglioramento della città, e si proporrà come motore di nuovi sviluppi. Gli studenti, che in misura crescente accogliamo, daranno a Torino nuova vita.

Ecco perché il Politecnico di Torino ha oggi la grande occasione, anzi il dovere, di porsi con impegno e lungimiranza in prima linea per affrontare i grandi cambiamenti in atto nella società e nei propri territori.


1. GLOBAL TRENDS 2017: Paradox of Progress, A publication of the National Intelligence Council, Washington 2017
2. “Recuperare la rotta”, 18° rapporto “Giorgio Rota“ su Torino, ottobre 2017.
3. Donnella H. Meadows “Thinking in systems”, Chelsea Green Publishing, White River Junction, Vermont, 2008.