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Arte, scienza e progetto. Una riflessione sul Politecnico di Torino

di Edoardo Fregonese (Dipartimento di Architettura e Design).


Sono un dottorando del DASP (Dottorato in Architettura. Storia e Progetto). A dispetto della più parte dei miei colleghi e amici del dottorato, ho una laurea in filosofia, anziché in architettura. E la chiamata del prof. Saracco in favore di un inserimento di scienze umane e sociali all’interno dei corsi di laurea non mi ha lasciato indifferente, anzi.

Appena entrato nei ranghi del dottorato – ma già prima di allora, diciamo da quando finito il liceo ci si trova a dover scegliere l’università – mi son chiesto che cosa fosse. O meglio, quale fosse il sapere specifico che si impara e che viene insegnato. Credo che questo sia da un certo punto di vista un problema filosofico (un problema di definizione quindi). Fisica, chimica, biologia e quant’altro sono discipline (scientifiche), ma non rientrano a pieno titolo nel Politecnico – anche se vengono di fatto insegnate, i corsi di laurea di queste ultime sono erogati dall’Università e in ogni caso non si diventa “fisici”, “chimici” e “biologi” al Politecnico, bensì “ingegneri fisici”, “ingegneri chimici” e via dicendo; le scienze sociali e umane possono essere rintracciate nella città di Torino a Palazzo Nuovo e al Campus Luigi Einaudi (entrambi di Unito). Esaurite le scienze viene da chiedersi quale sia allora il sapere legato a una istituzione universitaria come il Politecnico di Torino. Cosa imparo se mi iscrivo lì?

Credo che se si considerasse un certo qual aspetto del sapere tecnico, in una specifica dimensione temporale, allora si potrebbe iniziare a cogliere quale è il sapere proprio del Politecnico (e quindi la sua specificità nei confronti per esempio dei saperi di Unito).

Il sapere tecnico (quello specifico del Politecnico e di cui do qua una brevissima descrizione) si pone immediatamente come un sapere orientato al futuro. La tecnica, il saper costruire qualcosa, è un sapere che, da un punto di vista strettamente logico, nasce proprio perché al presente non abbiamo ciò che vogliamo, dunque lo costruiamo, e quando l’avremo saremo nel futuro rispetto a quando abbiamo iniziato.

Ma di quale tipo di sapere si tratta? E cosa lo distinguerebbe dall’arte e dalla scienza? Credo che in questa specifica dimensione temporale – quella del futuro – sia possibile tracciare un’ipotesi di statuto epistemologico del sapere tecnico – e conseguentemente tratteggiare la “specificità politecnica”.

La rappresentazione artistica del futuro oscilla tra l’utopia e la distopia. Da un lato Platone e la città di Magnesia (la protagonista della Repubblica e delle Leggi) 1, dall’altro la serie tv Black Mirror con i suoi episodi da incubo. In entrambi i casi la rappresentazione è quella di un mondo che, per quanto simile ed eventualmente migliore del nostro, è come se stesse appunto esposto in un museo: sta lì e non ci dice come “entrare dentro”, come far sì che quel mondo sia il nostro mondo. Ci dà un’immagine del futuro senza dirci come giungere a esso.

Nel momento in cui vengono considerate alla luce del futuro, le leggi scientifiche divengono previsioni. E la forza previsiva che queste hanno non è sempre la stessa. Se nel mondo fisico la previsione è stringente 2 (ma non tutto si può prevedere) 3, non si può dire lo stesso nel mondo sociale. La legge sulla caduta tendenziale del saggio di profitto ipotizzata da Marx nel Capitale e che avrebbe condotto al collasso del mercato capitalistico, non si è mai realizzata: Marx non considerò la possibilità di un massiccio intervento statale all’interno del mercato. Il “problema” del carattere previsivo delle leggi scientifiche (siano esse chimiche, biologiche o sociali) sta nelle esternalità4, in ciò che accade nel mondo esterno e che – quasi per loro natura – le leggi non riescono a formalizzare e quindi a calcolare; facendo “saltare” la veridicità della previsione stessa.

Ricapitolando, se lette attraverso la prospettiva temporale del futuro, nel caso dell’arte abbiamo la presentazione di un mondo (anche se irraggiungibile), nel caso delle scienze abbiamo la previsione (di un dato o della relazione tra più dati del mondo). E nell’ottica del futuro, credo che la specificità del sapere tecnico risieda nella progettazione (di un mondo futuro o di alcune sue parti).

Il sapere tecnico al futuro si risolve come un sapere progettuale che mediante un “artefatto cognitivo”5 (il progetto!) mostra e rende manifesta non solo l’immagine del futuro, ma anche e soprattutto fonda analiticamente la possibilità reale di quella stessa immagine. Ciò attraverso un “lavoro” – un’azione di progetto - che ha il suo posto all’interno di vincoli e costrizioni di natura sia tecnica (un solaio pesante crolla) che sociale (il committente vuole degli archi sulla facciata, ma il piano paesaggistico non lo consente). Il sapere progettuale è quindi quel sapere che consente non di conoscere, ma di costruire il futuro – con tutta le complessità che ciò inevitabilmente comporta.

Non si tratta quindi di un lavoro di fantasia, oppure di un atto esclusivamente conoscitivo, piuttosto il progetto e il sapere progettuale incidono fattualmente nel mondo e qui risiede la loro peculiarità, la peculiarità di una istituzione universitaria come il Politecnico di Torino – o almeno così io credo.




1.Mi permetto di considerare qua l’utopia platonica come ‘artistica’. Se nelle singole parti è un’opera di filosofia a pieno titolo, nella sua totalità ci appare un po’ come il “dipinto” tracciato da Lewis Mumford nella sua Storia dell’utopia, Feltrinelli, Milano 2017 [1922].
2.La legge di gravitazione universale è valida universalmente e possiamo prevedere la velocità con cui x toccherà il suolo se lanciato da una altezza h.
3.Per esempio i terremoti, fenomeni naturali al pari di molti altri.