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Università, innovazione, territorio

di Luca Staricco (Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio, Politecnico di Torino).


L’area torinese registra dall’inizio degli anni Duemila una perdita di competitività, che la crisi del 2008 ha accentuato, ma che di fatto è strutturale da ormai quasi un ventennio, e che gli ultimi Conti economici territoriali pubblicati dall’Istat il 20 dicembre 2017 confermano ulteriormente. Dal 2000 al 2014, il contributo della città metropolitana di Torino al valore aggiunto nazionale è sceso dal 4,47% al 4,19%. Prima della crisi, dal 2000 al 2008, il valore aggiunto cresceva nell’area torinese ogni anno, mediamente, del 3,1%, più lentamente di quello nazionale (+3,6%). Tra il 2008 ed il 2015, il valore aggiunto nazionale si è incrementato dello 0,8%, quello torinese si è ridotto dell’1,6%. In termini di produttività (misurata come valore aggiunto per occupato), Torino si colloca al settimo posto tra le 15 città metropolitane italiane; tra quelle del Centronord, solo Venezia presenta un valore inferiore. In un’economia globale in cui il ruolo dell’innovazione è considerato sempre più centrale, questi trend sembrano contraddittori rispetto agli indicatori su R&S nell’area torinese.

In termini di input, il Piemonte è infatti la regione italiana che investe la maggiore percentuale del proprio PIL in ricerca e sviluppo: dall’1,75% del 2005 tale percentuale è cresciuta progressivamente al 2,27% del 2014. Per l’80%, tale spesa è sostenuta dalle imprese.

In termini di output, quale è il numero di brevetti (in rapporto alla popolazione) presentati da soggetti delle città metropolitane italiane all’European patent office, Torino è terza in Italia (in media 121 per milione di abitanti nel quadriennio 2011-14), dopo Milano (128) e Bologna (200).

È però interessante fare riferimento alla banca dati dell’United States patent and trademark office (Uspto), che permette di analizzare non solo i soggetti che presentano domanda di brevetto (gli inventori), ma anche quelli che ne hanno ottenuto i diritti di sfruttamento economico (gli assegnatari).

Nel caso torinese, i brevetti ideati e sfruttati endogenamente (aventi cioè sia l’inventore sia l’assegnatario in tale area) sono stati a partire dal 2000 mediamente 66 all’anno, con un trend leggermente crescente dal 2009; quelli ideati nell’area ma sfruttati da soggetti con sede altrove quasi 107, con un trend fortemente crescente; quelli ideati altrove ma sfruttati nell’area torinese sono stati più o meno stabili intorno alle 22 unità 1. In altre parole, sembra confermarsi – o meglio, accentuarsi – una situazione già evidenziata nei primi anni Duemila da Antonelli e Calderini (2001) 2: l’area torinese sembra più efficace nel fare ricerca (inventare brevetti) che non nello sfruttare economicamente i risultati di tale ricerca (sia essa prodotta localmente o importata dall’esterno dell’area). È questo il contesto di riferimento che occorre tenere in conto, nel ripensare al ruolo di trasferimento tecnologico che il Politecnico di Torino ha svolto finora rispetto al suo territorio, e a quello che dovrà svolgere nei prossimi anni. Il vero punto debole dell’area torinese sembra legato non tanto alla capacità di fare ricerca e innovazione, quanto piuttosto al creare business su di esse. Tanto più in una prospettiva di Impresa 4.0 (da declinarsi non solo nell’industria, ma anche se non soprattutto nel terziario), una sfida importante che si pone per il Politecnico sarà dunque quella della formazione continua.


1. Tutti i dati presentati sono disponibili sull’edizione 2017 del Rapporto Giorgio Rota del Centro Einaudi
2. Antonelli C., Calderini M. (2001), Le misure della ricerca. Attività scientifica a Torino, Fondazione Giovanni Agnelli